lungo la Via Francisca
Gli affreschi di San Michele di Palagnedra risalgono a fine quattrocento, e mostrano colori e forme vivissimi. Vengono attribuiti ad Antonio da Tradate pittore lombardo che ha operato sia in Ticino che nella vicina Ossola da fine Quattrocento ad inizio Cinquecento. Le opere si trovano […]
La Via Francisca Surselva e Canton TicinoIl lago d’Orta, il “lago ribelle”, possiede nelle espressioni abituali, una “sponda occidentale” e una “sponda orientale” ma non una “sponda destra” o una “sponda sinistra” come gli altri laghi. La curiosità nasce dalla sua caratteristica unica: quella di avere l’emissario, la Nigoglia, sul lato […]
Blog La Via Francisca Ossola, Cusio e NovareseLa “Porta Romana” detta anche “Porta della Valle”, perché da qui partiva la via che conduceva in Valle Strona, è in realtà medievale, risalendo al 1100 d.C. Esistevano un tempo ad Omegna ben cinque porte, nelle diverse direzioni, ma le altre quattro sono scomparse. La […]
Blog Ossola, Cusio e NovareseGli affreschi di San Michele di Palagnedra risalgono a fine quattrocento, e mostrano colori e forme vivissimi. Vengono attribuiti ad Antonio da Tradate pittore lombardo che ha operato sia in Ticino che nella vicina Ossola da fine Quattrocento ad inizio Cinquecento. Le opere si trovano […]
La Via Francisca Surselva e Canton TicinoGli affreschi di San Michele di Palagnedra risalgono a fine quattrocento, e mostrano colori e forme vivissimi.
Vengono attribuiti ad Antonio da Tradate pittore lombardo che ha operato sia in Ticino che nella vicina Ossola da fine Quattrocento ad inizio Cinquecento. Le opere si trovano nella sacrestia della chiesa di San Michele, al cimitero, e sono state recentemente restaurate. Si tratta dei suoi capolavori in assoluto. Riconosciamo una crocifissione , un Cristo con i quattro evangelisti sulla volta del coro, i dottori della chiesa e San Michele che pesa le anime. Sulle pareti la salita al Calvario, l’orto degli ulivi, gli apostoli e le allegorie dei mesi dell’anno con scene di vita contadina.
Il villaggio di Palagnedra si trova a tre chilometri dalla stazione ferroviaria omonima della Ferrovia Centovallina (Vigezzina), a breve distanza dal confine italiano di Re (Valle Vigezzo), a 660 metri di quota, sopra il “lago Bianco” un lago artificiale formato da una diga idroelettrica sul torrente Melezzo.
Può essere raggiunto solo a piedi o in auto, ragion per cui questo tesoro tende a essere sconosciuto. Ciononostante gli affreschi di San Michele valgono una visita, così come tutto il villaggio che presenta una coesistenza armoniosa fra antiche case eleganti , frutto del lavoro degli emigranti di ritorno di un tempo ed edifici rustici tipici del luogo.
https://www.ticino.ch/it/commons/details/Chiesa-San-Michele-a-Palagnedra/128798.html
Il lago d’Orta, il “lago ribelle”, possiede nelle espressioni abituali, una “sponda occidentale” e una “sponda orientale” ma non una “sponda destra” o una “sponda sinistra” come gli altri laghi. La curiosità nasce dalla sua caratteristica unica: quella di avere l’emissario, la Nigoglia, sul lato […]
Blog La Via Francisca Ossola, Cusio e NovareseIl lago d’Orta, il “lago ribelle”, possiede nelle espressioni abituali, una “sponda occidentale” e una “sponda orientale” ma non una “sponda destra” o una “sponda sinistra” come gli altri laghi. La curiosità nasce dalla sua caratteristica unica: quella di avere l’emissario, la Nigoglia, sul lato a nord. Un “lago al contrario”, con la Nigoglia che corre ancor più verso nord.
Che la sponda sia destra o sinistra lo si stabilisce abitualmente guardando l’emissario di un lago, spalle alla sorgente. Ma se l’emissario del lago d’Orta esce a nord e quello del lago Maggiore, il Ticino, a sud, ciò significa che per il lago Maggiore la “sponda destra” corrisponde alla sponda occidentale, per il lago d’Orta la “sponda destra” corrisponde alla sponda orientale.
Essendo però i due laghi perfettamente paralleli, come si nota chiaramente da ogni cartina geografica, la loro destra dovrebbe trovarsi dalla stessa parte. La regola non torna, ecco dunque la necessità, per il piccolo lago ribelle che invia le sue acque verso nord, di rinunciare alla definizione “sponda destra” e “sponda sinistra” a favore dell’orientamento solare.
Non si tratta in realtà, per quanto riguarda la Nigoglia, d’altro che del “rimasuglio” di quello che era un tempo un ramo del lago Maggiore.
Da Fondotoce, dove un tempo arrivava il lago Maggiore, questo ramo si spingeva verso sud-ovest, terminando con il bacino che è oggi il lago d’Orta.
Poi il braccio si riempì e non rimase che una sottile via d’acqua, quella che oggi rappresenta il tratto finale del torrente Strona e il piccolo, breve canale detto Nigoglia. L’unica via attraverso la quale il “lago ribelle” può oggi sversare le proprie acque, alimentate non da un grande immissario, come accade ad altri laghi, ma da tanti piccolissimi ruscelli, fra le paterne sponde del lago Maggiore. Correndo al contrario.
“La Niguja la va in su e la legg la femm nu” – la Nigoglia va in su, a nord, e la legge la facciamo noi – detto locale che vuol sottolineare l’indipendenza e lo spirito libero degli omegnesi. E forse spiega come mai la città non ha mai fatto parte della Riviera d’Orta nei secoli passati così come ha scelto di non far parte della provincia di Novara come invece la maggior parte degli altri paesi del lago.
La “Porta Romana” detta anche “Porta della Valle”, perché da qui partiva la via che conduceva in Valle Strona, è in realtà medievale, risalendo al 1100 d.C. Esistevano un tempo ad Omegna ben cinque porte, nelle diverse direzioni, ma le altre quattro sono scomparse. La […]
Blog Ossola, Cusio e NovareseLa “Porta Romana” detta anche “Porta della Valle”, perché da qui partiva la via che conduceva in Valle Strona, è in realtà medievale, risalendo al 1100 d.C.
Esistevano un tempo ad Omegna ben cinque porte, nelle diverse direzioni, ma le altre quattro sono scomparse.
La “Porta Romana della Valle” indirizza verso il “Ponte Romano” o “Ponte Antico” anch’esso medievale e risalente al XV secolo che permetteva l’attraversamento del torrente Strona e la salita verso la Valle Strona (da cui il nome “Porta della Valle”) . Il ponte ha forma “a schiena di mulo” e la sua particolarità è di sfruttare come base di appoggio un masso erratico che secoli or sono ebbe la buona idea di fermarsi al centro del torrente.
Nei pressi della Porta Romana si trova la chiesetta di Madonna della Neve (come si legge sulla pergamena che il Bambin Gesù tiene in mano) detta “Madonna del Ponte Antico” dalla popolazione locale, dotata di un portico sotto cui i viandanti potevano riposare prima di avviarsi verso la Valle Strona. L’oratorio risale al XVI secolo, la festa, come per ogni “Madonna della Neve” è il 5 di agosto.
La chiesa di Santa Maria della Posa era la chiesa parrocchiale di Fomarco, la frazione più antica di Pieve Vergonte, in alto sul monte che sovrasta la valle. La chiesetta, oggi piuttosto sacrificata a causa del muraglione che sostiene la strada, disponeva di un pronao […]
62 santuari Blog Ossola, Cusio e NovareseLa chiesa di Santa Maria della Posa era la chiesa parrocchiale di Fomarco, la frazione più antica di Pieve Vergonte, in alto sul monte che sovrasta la valle. La chiesetta, oggi piuttosto sacrificata a causa del muraglione che sostiene la strada, disponeva di un pronao a colonne, ancora esistente ed aveva base esagonale, mutata in seguito agli ampliamenti che si sono succeduti con l’aumentare della popolazione e che hanno causato danni agli affreschi con l’apertura di porte e finestre. Gli affreschi rimanenti del presbiterio sono databili al XV e XVI secolo. Si tratta di immagini definite “devozionali” o “ex voto”. Se così fosse si tratterebbe del santuario più antico dell’Ossola, come sostenuto dal cartello indicatore che trovate nel paese di Pieve Vergonte. L’idea che si trattasse di un Santuario è realistica anche per via dell’esistenza in loco di una fonte, anch’essa oggi molto sacrificata dalla presenza del sopracitato muraglione. Ci troviamo quindi verosimilmente in un luogo “sacro alle Matronae” e successivamente dedicato a Maria.
Fomarco è una frazione di Pieve Vergonte posta sui monti sopra l’attuale villaggio e gode di una splendida vista sulla vallata. Una cappella dedicata alla Madonna pare essere esistita, nel luogo che oggi viene detto Santa Maria di Fomarco, da prima del XVI secolo, perché si narra che da qui si passava, giungendo dai paesi vicini e perfino da Bannio e Macugnaga, per portare i morti alla Pieve, alla chiesa madre dell’Ossola, quella di Vergonte. Qui giunti i portatori “posavano” il defunto, per riposare un poco prima di proseguire il cammino.
Un’altra versione vuole invece che il Santuario dedicato a Santa Maria Assunta venga detto “della Posa” perché riconosciuto come la sosta naturale per chi arrivava un tempo dal fondovalle carico di gerle e con animali altrettanto carichi, diretto alle frazioni sui monti. Qui, infatti, si poteva trovare ristoro presso una piccola sorgente che ancor oggi sgorga nel cortile, di fronte al portico. Un altro santuario fra i campi sulla via del cimitero, come quello che nella “guida ai 62 santuari” abbiamo incontrato in Canton Ticino, a Golino, la “Madona da Poss”. Una croce di ferro indicava in questo punto anche il luogo delle rogazioni, il punto cioè da cui la campagna veniva benedetta ogni anno.
Il nome “Santa Maria della Posa” ricorre comunque solo dal 1530. Fu allora che si diffuse la voce in base alla quale qui si compivano prodigi. Di tali eventi miracolosi però non resta traccia né ricordo, se non nell’ordinanza che il vescovo di allora, Arcimboldo, emise sottolineando che nella cappella si compivano molti miracoli e che quindi l’ammontare delle elemosine raccolte era notevole. Per tale ragione il vescovo chiedeva conto del modo in cui esse venivano impiegate, pena altrimenti la scomunica ed una multa di cento ducati. Il che dimostra che i santuari rendevano bene, allora come oggi.
Con l’aumentare del flusso di fedeli venne eretto, come riparo dalle intemperie, il portico, che è asimmetrico rispetto all’oratorio perché segue la forma della strada. L’oratorio di forma esagonale costituisce oggi il presbiterio della chiesa e mostra -affreschi del XV e XVI secolo. Sull’altare un dipinto ottocentesco che rappresenta l’Assunzione di Maria. Anche la campana risale solo al 1868.
Leggenda vuole che per ottenere una grazia dalla Madonna della Posa si debba accendere una candela e mantenerla accesa, sostituendola con una nuova, che deve essere accesa utilizzando il fuoco della precedente prima che si spenga, il tutto per almeno dieci giorni.
Un’altra leggenda, piuttosto confusa e tramandata oralmente con modifiche soggettive, narra che l’oratorio venne costruito grazie ad un conte francese che lo finanziò, tanto convinto del suo valore come dispensatore di grazie da parlarne alla regina di Francia. Si ignorano sia il nome del conte sia quello della regina, sia l’epoca in cui tutto avvenne. La regina convintasi, chiese anch’essa una grazia ed ottenutale donò all’oratorio una statuina d’oro della Madonna. Statuina che in seguito si rivelò di marmo dipinto, ma tant’è. Anche le regine, a volte, fanno le furbe. Fatto sta che la statuetta prese l’abitudine di scomparire ed ogni volta veniva poi ritrovata su un’altura, mentre guardava verso la Francia. Compresa la nostalgia della “Madonna francese”, gli abitanti di Fomarco crearono una finestrella nel tetto dell’oratorio, in modo che la statua potesse guardare la Francia. E da allora essa non si mosse più.
La leggenda non significa molto, ma basta per ipotizzare che, se la statuina, oggi scomparsa e di cui pare sia rimasta una fotografia era francese, forse la costruzione dell’oratorio va fatta risalire alla dominazione francese sul ducato di Milano, quindi al primo ventennio del 1500, forse su un oratorio preesistente.
due santuari, un palio, un antichissimo albero e un nome curioso: Premosello Chiovenda
62 santuari Bloge altre curiosità del paese di Premosello Chiovenda, VB
Una facile salita porta al Santuario della Madonna dello Scopello in comune di Premosello Chiovenda, poco prima del paese di Cuzzago, su un’altura. Venne edificato nel 1600 come lazzaretto per i malati di peste – si trattava della terribile epidemia descritta dal Manzoni ne “I promessi sposi” – e solo successivamente, per un voto fatto dagli abitanti, fu trasformato in chiesa. Il Santuario di Madonna dello Scopello viene anche chiamato “Madonna delle Grazie” o “Madonna dei fichi” perché la festa si celebra la prima domenica di settembre, quando maturano i fichi. Un tempo la gente li donava al santuario in cestini per essere messi all’asta.
Davanti al Santuario si trova un bell’esemplare di tasso (Taxus Bacata) un albero con una circonferenza del tronco di circa tre metri. Si stima abbia circa 500 anni. Si tratta quindi di un albero che era dunque già presente al tempo della costruzione della chiesa.
Oltre al Santuario di Madonna dello Scopello, sopra Premosello, con una salita un po’ più impegnativa raggiungerete, con un ponte a schiena d’asino, sull’Alpe Lut, (o Luet) , lungo via verso la Valgrande, un altro santuario, l’Oratorio dell’Annunciazione,. Questo venne costruito dai reduci della prima guerra di indipendenza in ringraziamento per il ritorno a casa e successivamente ampliato. L’Alpe si trova a 772 m. di altitudine e rappresenta uno dei più antichi alpeggi ossolani. Fu donata nel 1014 dai monaci di San Vittore al Corpo, di Milano, al Monastero di Arona, che deteneva in Mergozzo un priorato.
La curiosità del paese è il “Palio degli asini” di Premosello, che si tiene da sessant’anni, ogni anno nel pomeriggio del 15 agosto, e viene preceduto dalla “sfilata dei Cantoni”. Dal 2018 è riconosciuto come “manifestazione di carattere storico-culturale” dalla Regione Piemonte. Dal 2019, per preservare gli zoccoli degli animali che potrebbero venir danneggiati dall’asfalto, le strade del centro cittadino su cui si svolge la manifestazione vengono ricoperte di terra e quindi chiuse al traffico dal 13 al 17 agosto, mentre i fantini devono seguire un regolamento severo, mirato al benessere degli animali stessi. Ma gli asini non sono i soli animali cui il paese dedica attenzione. Nei mesi della nidificazione dei rapaci Premosello chiude le vie di arrampicata sopra il paese, a Colloro, per impedire che la presenza umana faccia abbandonare i nidi. Un esempio per molti altri paesi.
Lo strano nome del comune, Premosello-Chiovenda, deriva dal fatto che al nome di Bramosello, divenuto “Premosello” nei secoli, fu aggiunto, nel 1959, “Chiovenda”, per onorare il giurista Giuseppe Chiovenda, illustre cittadino del villaggio. Lo si ritiene il fondatore della scienza processuale italiana moderna.
(da “Guida ai 62 santuari”) Santuario n.ro 59, in occasione della festa, il 10 settembre Questo Santuario di Madonna del Bosco si trova in corso Vercelli a Novara ed è più recente rispetto alla “Madonna del bosco” di Pernate. La storia narra che erano […]
62 santuari Blog(da “Guida ai 62 santuari”) Santuario n.ro 59, in occasione della festa, il 10 settembre
Questo Santuario di Madonna del Bosco si trova in corso Vercelli a Novara ed è più recente rispetto alla “Madonna del bosco” di Pernate.
La storia narra che erano i primi di giugno del 1859, i giorni in cui l’Austria invase Novara, i tempi della guerra d’indipendenza. (https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_di_Novara)
Lungo l’argine dell’Agogna, due ragazzi novaresi sui quindici anni si imbatterono proprio nei soldati austriaci, accampati nella vicina cascina Santa Marta, che tentarono di catturarli.
Uno scappando venne ferito ad una gamba e venne preso, l’altro, Edoardo Lenta, tentò di sfuggire ai militari correndo verso il bosco sulla riva del fiume dove si arrampicò su un grande olmo, pregando la Madonna di salvarlo.
Le promise in cambio di scolpirne l’immagine nel legno di quello stesso albero. Si salvò e otto anni più tardi, cresciuto ed appreso il mestiere, mantenne il patto.
Subito purtroppo l’immagine venne vandalizzata e le vennero asportate le mani giunte in preghiera. Edoardo non si arrese e diede alla statua l’aspetto attuale, con un braccio tenuto lungo il corpo. La voce del salvataggio miracoloso del ragazzo si sparse e l’immagine cominciò ad essere venerata dai novaresi. Divenne “Santuario” quando una donna cieca da alcuni anni, Cristina Bruneri, riacquistò la vista davanti ad essa. Era il 1875.
Negli anni Ottanta dell’Ottocento però, il bosco venne abbattuto. I “campari” che lo gestivano decisero comunque di salvare l’immagine e, staccatala dall’albero, la trasportarono presso la strada, costruendole una tettoia, e decidendo di dedicarle una festa ogni terza domenica di settembre.
Per accogliere i pellegrini, quei contadini approntarono delle panchine ed una pompa per l’acqua della sorgente che sgorgava lì accanto.
Nel 1886 la cappella divenne una chiesetta con forme classiche, ma nel 1968 venne trasformata nell’attuale chiesa, con forme architettoniche opinabili ma certamente ben riconoscibili, che disponeva anche di una “casa del custode” che oggi è stata adibita a museo per accogliere gli ex-voto.
La fonte, detta un tempo dal popolo “dell’acqua marcia” per il vago sapore di zolfo, o “uovo marcio” che chi scrive aveva ancora potuto vedere ed assaggiare, è nel frattempo scomparsa.
Nel 2017 poi, con la costruzione del vicino supermercato, l’area venne dotata di un centro ricreativo con relativo piazzale e quanto restava del bosco sull’Agogna, ormai divenuto discarica abusiva, fu trasformato in via Crucis, con 15 cappelle.
Pulito ed ordinato indubbiamente, ma inserito in un contesto alieno al quale nulla resta delle sensazioni originarie che questo luogo sapeva offrire ancora fino agli anni Sessanta del secolo scorso. La festa viene celebrata la seconda – terza settimana di settembre.
Guida ai 62 SantuariPanoramica dei 12 santuari fra Disentis e Bellinzona
62 santuari Blog I miei libriSi, potrete leggere alcuni dei miei libri subito, anche gratuitamente, su Amazon kindle. La prima collana, “Lungo la Via Francisca”, comprende, ad oggi, “Tracce di Meraviglie” (vol. I e II) e “Guida ai 62 santuari lungo la Via Francisca”. E’ dedicata al percorso lungo la […]
Blog I miei libriSi, potrete leggere alcuni dei miei libri subito, anche gratuitamente, su Amazon kindle.
La prima collana, “Lungo la Via Francisca”, comprende, ad oggi, “Tracce di Meraviglie” (vol. I e II) e “Guida ai 62 santuari lungo la Via Francisca”.
E’ dedicata al percorso lungo la Via Francisca dal Lucomagno a Novara, una full immersion fra arte, storia, gastronomia e leggende, per scoprire “come eravamo.
La seconda collana “Una pianta per amica” è invece dedicata alle piante commestibili, comprende, ad oggi, “La lavanda”, “Menta, mentuccia e nepetella” e “Ortica, erbaccia da giardino”.
Permette di scoprire come utilizzarle per ricette originali o per realizzare doni per parenti e amici. Entrambe le collane sono destinate a crescere.
Un paio di libri, “Nuara la bala”, dedicato ai castelli della provincia e “l’Orto della Bibbia”, dedicato alle piante citate nel testo sacro, sono ormai esauriti.
Penso di riproporli appena possibile, con una nuova offerta speciale.
Un altro paio di libri invece, “Casinò” e “La donna sotto la Madonna” propongono racconti ispirati da storie realmente avvenute.
acquista o leggi i libri(estratto da “Tracce di Meraviglie” vol. I) 140.000 morti. Erano stesi in ogni posizione, nella pianura incolta. I campi erano mossi solo da piccole ondulazioni del terreno, costellati di ghiaioni abbandonati dai fiumi e inverditi qua e là da boschetti di pioppi e querce. I […]
Blog La Via Francisca(estratto da “Tracce di Meraviglie” vol. I)
140.000 morti. Erano stesi in ogni posizione, nella pianura incolta. I campi erano mossi solo da piccole ondulazioni del terreno, costellati di ghiaioni abbandonati dai fiumi e inverditi qua e là da boschetti di pioppi e querce. I cadaveri erano stati squarciati dalle spade, travolti dai carri o si erano impiccati consci della fine in arrivo. Sui loro resti banchettavano le cornacchie, i corvi, i lupi, le volpi, gli orsi e folti gruppi di cinghiali. L’odore della decomposizione impregnava l’aria e rendeva assai difficile attraversare quei luoghi, non parliamo di ritornarvi a vivere da parte dei Galli fuggiti davanti agli invasori. Quegli uomini, quelle donne e quei bambini dai capelli biondi e dagli occhi azzurri giacevano sulla terra che pensavano di essersi conquistata, tremila chilometri a sud del loro mondo. La carneficina aveva distrutto un intero popolo, i Cimbri.(https://it.wikipedia.org/wiki/Cimbri) , scesi in Italia dalle lontane terre danesi convinti di poter sconfiggere Roma. Era l’anno 101 a.C
I Cimbri si erano insediati in una pianura incolta, nei tratti terminali dei fiumi Ticino e Sesia, allora molto meno distanti fra loro di adesso. Fra i due grandi fiumi, tre piccoli torrenti, Terdoppio, Agogna e Arbogna contribuivano ad arricchire il panorama con paludi, stagni, uccelli acquatici e, purtroppo, zanzare. I Cimbri, provenienti dal Brennero, avevano risalito il corso del Po e trovato quei luoghi tra Novara, Vercelli, Robbio e Lomello, afosi, umidi, nebbiosi, selvaggi, in cui i villaggi erano rari. Li pretesero per loro, ma appartenevano a Roma. E Roma non accettava imposizioni. I pochi Galli che vi abitavano erano fuggiti verso le montagne sotto il Monte Ros, il monte “La Vetta” tradotto dal gallico, che oggi chiamiamo Monte Rosa. Rimasero i Cimbri, almeno 200.000, accampati in Lomellina e Basso Novarese, ed i Romani, con un esercito di soli 52.000 uomini al comando del console Caio Mario, con Lutezio Catulo e Marco Cornelio Silla alle ali, accampati fra il Sesia e Novara. Furono loro i protagonisti della battaglia che fece quasi 140.000 morti fra i soli Cimbri e poche migliaia fra i romani.
La “Battaglia dei Campi Raudii” (https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_dei_Campi_Raudii), come ora viene chiamata quella tragedia cui poche – o nessuna – battaglie, neppure moderne, furono pari per numero di morti, prese il suo nome dalla terra su cui si svolse, i “campi raudii” cioè i “campi incolti”, le “terre selvagge” su cui nulla cresceva. Oggi sono terre fertilissime. Da lì partiva una via conosciuta solo ai Galli, la “via del nord verso il paese dei Germani”, un piccolo sentiero allora, che portava al lago d’Orta, al lago Maggiore – che a quel tempo raggiungeva il Montorfano a Gravellona Toce – e successivamente su, verso Domodossola, la Valle Vigezzo ed i Passi del Lucomagno – facile e basso – del San Bernardino – la “via mala” molto pericolosa – del San Gottardo – allora impraticabile – o la gelida Valle Formazza od il rischiosissimo Sempione. Lungo quella via fuggirono – e poi tornarono – i Galli, lungo quella via fuggirono – per non tornare – i pochi Cimbri sopravvissuti al massacro.
Venne poi l’anno 100 a.C. Fu a questo punto, si narra, che i Romani decisero la costruzione di un “arco di trionfo” in onore di Caio Mario, il console cui si doveva la distruzione dei Cimbri. Vollero realizzarlo esattamente nel luogo della battaglia, là dove Mario si era accampato, a sette chilometri a sud-ovest di Novara. Era, si narra, in marmo bianco, forse portato fin lì dai monti dell’alto novarese, dalle cave di Mergozzo od Ornavasso. L’Arcus Marianus non esiste più da millenni ormai. O forse non è mai esistito. Ma, narra Sebastiano Vassalli[1], in quel luogo in cui Mario si era accampato, detto “Campus Marianus”, nacque un villaggio che crebbe, che ancora esiste e che ne prese il nome, Ca-meriano. Si tratta di un grosso borgo agricolo poco a sud di Novara, oggi frazione del comune di Casalino, da cui, viaggiando verso settentrione, si raggiungono Proh (nome piemontese, si legge “Pru”), oggi frazione di Briona, e un tempo luogo privilegiato di passaggio, e la “via verso nord” che tocca Momo, Fontaneto, Borgomanero, il lago d’Orta, Gravellona e avanti sino al Passo del Lucomagno e quella che era un tempo l’Alemania, la Germania. Quella via, ben frequentata dai Galli – come ci dimostrano le numerose necropoli lungo di essa – che divenne, si narra, nel 196 d.C., la “via Settimia Severa”, realizzata per permettere ai romani di aggirare, attraverso il Canton Vallese, l’esercito dell’usurpatore Albino, autoproclamatosi imperatore romano, – ne seguì la “ Battaglia di Lugdunum” (https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lugdunum), oggi Lione, in cui Clodio Albino venne sconfitto, decapitato e gettato nel Rodano. Scoperta dai Longobardi e consegnata per tradimento ai Franchi, la via divenne successivamente una “via Franca” o “Francisca” che raggiungendo anche Bellinzona, permise ai Franchi che scendevano dal Lucomagno di penetrare in Italia.
È lungo questa via, la “via segreta del novarese verso il paese dei Germani”, una via rossa del sangue di delitti e battaglie che potrete scoprire nei due volumi di “Tracce di Meraviglie”, nelle sue mille, antiche sfaccettature, un “territorio segreto” ricchissimo di “meraviglia”.
Ma permettetemi, concludendo, di aggiungere una nota un po’ irriverente, per ricordare che la storia l’hanno sempre fatta i vincitori o chi fra loro sapeva scrivere. E non sempre corrisponde al vero. Nel caso della “battaglia dei Campi Raudii”, si sostiene in Veneto o Lombardia che essa sia avvenuta presso Verona o Mantova. In effetti presso Verona ci fu una prima battaglia fra Cimbri e l’esercito guidato da Silla e Lutezio Catulo. I due “fighetti” di nobile origine presero un sacco di botte e se ne tornarono a Roma con la coda fra le gambe. Cosa che irritò non poco il console Mario, di origine assai meno nobile, un tipo piuttosto “rustico”. Costui, incavolatissimo, marciò verso la Liguria, distrusse, letteralmente, un esercito alleato dei Cimbri, risalì verso Novara, raggiunto qui dai due vicecomandanti di cui sopra, scovò i Cimbri, che ovviamente, essendo passati mesi dalla prima battaglia si erano spostati parecchio e li fece a pezzi. Ma allora cosa raccontano a Verona e Mantova? Beh, poco prima di morire, l’ormai anziano Silla scrisse le sue memorie. E, per rendere meno evidente la prima sconfitta, narrò che “poco tempo dopo” in una seconda battaglia, si era preso la rivincita e aveva sconfitto quei cattivi Cimbri. Basta un qualcosa del tipo “poco tempo dopo” per far pensare che dunque quei Cimbri non si fossero spostati di tanto e che quindi anche la seconda battaglia avesse avuto luogo nel Veronese. In realtà passarono molti mesi fra le due battaglie. E la seconda battaglia si tenne nel Novarese, come dimostrano anche parecchi reperti archeologici recuperati in quei campi. Presso Vinzaglio, al confine fra Vercelli e Novara
[1] Sebastiano Vassalli, “Terre Selvagge”, Ed. Rizzoli, 2014
CIn questo nostro mondo moderno, in cui nel corso degli ultimi anni “inventarsi cammini” pare sia diventato il nuovo “must”, sfuggono, a volte, “piccoli dettagli storici” in grado di dare indicazioni importanti. Uno di questi è verificare la presenza di Abbazie – non di conventi, […]
Blog La Via FranciscaCIn questo nostro mondo moderno, in cui nel corso degli ultimi anni “inventarsi cammini” pare sia diventato il nuovo “must”, sfuggono, a volte, “piccoli dettagli storici” in grado di dare indicazioni importanti. Uno di questi è verificare la presenza di Abbazie – non di conventi, quelli sono un’altra cosa – lungo la via che si ritiene “antica”.
La costruzione di Abbazie e monasteri ed il loro sostegno da parte di nobili e regnanti rappresentava nell’Alto Medioevo uno dei metodi più sicuri per garantirsi la fedeltà del territorio e la sicurezza di transito per i propri eserciti, vassalli e mercanti. È evidente, in effetti, che semplici monaci non avrebbero mai potuto costruire gioielli delle dimensioni e dell’importanza delle antiche Abbazie. Esse sorgevano per volere dei signori ed i signori le volevano e provvedevano a fornir loro – più spesso ad obbligare nobili locali e vescovi a fornir loro – i mezzi per realizzarle, perché erano loro utili in diversi modi. Fu infatti solo grazie al sostegno dei Merovingi che San Colombano fondò le Abbazie di Annegray, Luxeuil, Fontaine, quindi Remiremont, Rebais, Jumieges Noirmoutier e Saint Omer in Francia. Nel corso del suo viaggio lungo il Reno (parleremo in un prossimo articolo più dettagliatamente di San Colombano) egli pose poi le basi dell’eremo di Sant’Aurelia – oggi Abbazia di Mehrerau – a Bregenz, sulla riva austriaca del lago di Costanza, e delle Abbazie di San Gallo, nell’omonima città, e San Martino (Sogn Martin) in Disentis. Giunto infine in Italia fondò, stavolta per volere e con i finanziamenti della regina longobarda Teodolinda, la sua ultima abbazia, a Bobbio, dove morì nel novembre del 615.
Sapendo che le Abbazie non venivano nell’alto Medioevo, fondate in luoghi a caso, ma erano poste a presidiare vie di transito importanti, e che alcune di esse ebbero un ruolo lungo la nostra via Francisca, vediamo dunque la localizzazione e le ragioni d’essere delle Abbazie che dominano ancor oggi l’arco alpino fra Italia e Svizzera, sottolineando ancora che a quei tempi le strade erano pochissime, in generale tracciate dai romani e che quindi una Abbazia poteva fare il bello e il cattivo tempo sul territorio controllando le vie di sua competenza, decidendo chi poteva passare, tenendo sotto controllo – o meno a seconda dei casi – i briganti, fornendo – o meno – ai passanti ed agli eserciti cibo, riparo e cure, sia nell’Abbazia stessa che nelle sue proprietà – cappelle, grance – disseminate lungo il territorio.
Va inoltre sottolineato il ruolo dei monaci colombaniani e benedettini nella politica locale, in quanto essi erano praticamente gli unici detentori del sapere. Loro e solo pochi altri sapevano leggere e scrivere, potevano dunque anche “interpretare” gli scritti e “invitare” i governanti a seguire determinate regole o imposizioni. Di essi occorreva fidarsi, ad essi bisognava affidarsi. Essi governavano in realtà il mondo di allora e questo alla chiesa di Roma, in particolare ai vescovi locali, impegnati in opere analoghe e concorrenziali, non piaceva troppo o punto.
Va anche detto che grazie alla “Regola” di San Benedetto, cui dopo pochi anni dalla morte di Colombano anche i Colombaniani si sottomisero, i Benedettini hanno saputo “far ripartire l’economia” dopo la caduta dell’Impero romano, ritagliandosi un ruolo di tutto rispetto nel panorama politico ed economico di allora. E, tutto sommato, anche di oggi.
La prima Abbazia delle Alpi fu Saint Maurice, fondata ad Acaunum dal re burgundo Sigismondo, nel 515 d.C., sulla tomba di San Maurizio, un soldato romano martire della fede. Posta a poca distanza da Martigny, nel Cantone Svizzero del Vallese, Saint Maurice controlla la salita al Passo del Gran San Bernardo, a 2.469 mdi quota – a quel tempo detto “Monte Giove” perché San Bernardo, che vi costruì l’ospizio, nacque solo quattro secoli più tardi.
La seconda fu Sogn Martin (San Martino) in Disentis (oggi Disentis/Mustér). Fu fondata nel 614 d.C. su un luogo di eremitaggio di San Colombano, poco a sud della sorgente del fiume Reno, nella regione della Surselva, nel Cantone dei Grigioni, al confine con quello che è oggi il Canton Ticino – allora territorio longobardo – in un sito detto, già dai romani, “Desertina” perché, per l’appunto, deserto. Sogn Martin controlla il Passo del Lucomagno – oggi a soli 1.915 m.s.l.m., ma a quei tempi, quando l’attuale diga idroelettrica non esisteva e la strada passava più in basso, addirittura circa 100 metri più sotto, là dove ora giace il primo ospizio. Già frequentato in epoca celtica e romana, uno dei più bassi, e quindi comodamente superabili, passi alpini.
Il Passo del Moncenisio, a 2.083 m. di quota, viene posto sotto controllo franco nel 726, con la fondazione dell’Abbazia dei SS Pietro e Andrea, la Novalesa – l’unica Abbazia franca fra le antiche posta a sud di un passo alpino -in Val di Susa. La stretta in cui sorge oggi la “Sacra di San Michele” spiega la scelta della posizione, in grado di bloccare ogni transito.
Infine, Sankt Johann (San Giovanni) in Val Müstair (Val Monastero, in Engadina al confine con l’Alto Adige) voluta da Carlo Magno nel 780 circa, quando i suoi eserciti iniziarono a spingersi verso Valtellina, Alto Adige e Trentino. Controlla il passo del Forno, 2.149 m.s.l.m. Perfettamente conservata è oggi un monastero femminile, priorato di Sogn Martin e Patrimonio Unesco.
Strategica quale “Abbazia Sentinella” su vie importanti era anche l’Abbazia di San Gallo, sorta sul luogo dell’eremitaggio del giovane discepolo di San Colombano, Gall. Fondata prima della sua morte, avvenuta nel 645, controllava il passaggio in sponda sinistra del lago di Costanza verso le Alpi svizzere e austriache. Dotati di una meravigliosa e ben conservata biblioteca, gli edifici dell’Abbazia di San Gallo sono oggi sede del governo cantonale. L’Abbazia di Mehrerau, presso Bregenz, fondata come abbiamo visto da San Colombano all’incirca nel 612, controllava sia i passaggi in sponda destra del Reno e del lago che la navigazione. L’Abbazia di Reichenau, del 724, fondata su un’isola collegata oggi alla terraferma nel punto di uscita del Reno dal lago di Costanza, presso la città stessa di Costanza, e l’Abbazia di Rheinau, del 778, su una stretta penisola del fiume, immediatamentedopo le cascate di Sciaffusa, controllavano la navigazione verso e dal Reno. Sono tutte risalenti all’VIII secolo, tutte Carolingie, tutte strategiche.
Non esistono invece abbazie sul Sempione né sul San Gottardo, il primo non transitabile da eserciti e mercanti a causa delle gole di Gondo, a sud, e della Saltina, a nord, quindi frequentabile, ai tempi e se del caso, solo su tratturi di scarsa importanza, il secondo, 2.106 metri di altitudine, “scoperto” dagli Urani soltanto nel XIII – XIV secolo, per quanto qualcuno vi passasse anche in epoche precedenti. La mulattiera che lo attraversava venne sostituita da una vera e propria strada adatta ai carri – e quindi ai commerci – soltanto a metà del 1800.Il valico è transitabile anche oggi solo da giugno a settembre, perché fortemente innevato negli altri mesi. Le altre grandi abbazie delle Alpi, Staffarda (CN), Santa Maria di Piona (LC)– in realtà un priorato dell’Abbazia di Cluny –, Neustift (Novacella, BZ) e Muri-Griess (BZ), seppur altrettanto strategiche, vennero fondate dopo l’anno mille e non hanno riferimenti con il nostro territorio. Va anche detto che le antiche abbazie di Saint Maurice, San Gallo e Disentis vennero tutte distrutte dopo pochi anni dalla loro costruzione. Saint Maurice cadde vittima di un terremoto nei primi anni del VII secolo, San Gallo andò in rovina verso la fine dello stesso VII secolo, Sogn Martin venne distrutta dagli Avari nel 670 d.C. Avrebbero potuto restare abbandonate, ma venne Carlo Martello.
Colui che tutti chiamano “re Carlo” – anche a causa della nota canzone di Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio, che ne traccia un ironico ritratto – non fu mai re in realtà, per quanto ne detenesse il potere. Nato nel 690 e “Maggiordomo di Palazzo” – ossia, per semplificare, capo dell’esercito e della diplomazia dei re Merovingi dal 716 – Carlo è noto per la vittoria di Poitiers sui Saraceni del 732, che ne ridusse l’espansione in Europa. Ma Carlo combatté a lungo soprattutto i Sassoni, gli Svevi, gli Alemanni e riconquistò molti ducati francesi. Utilizzò anche il metodo di attacco che il nipote Carlo Magno portò all’apice del successo: la tenaglia carolingia, cioè un modo di combattere che prevedeva sia un attacco frontale che, contemporaneamente, uno sui fianchi od alle spalle. Un metodo di combattimento che spesso necessitava di più strade rispetto alle poche allora disponibili.
Per comprendere meglio gli eventi occorre sapere che l’inizio dell’VIII secolo coincise con la fine della “piccola era glaciale” e con l’instaurarsi di nuove condizioni climatiche, con aumento delle temperature e conseguente scioglimento precoce dei ghiacci. Condizioni che resero più semplice l’attraversamento delle Alpi. Così Carlo Martello appena divenuto comandante dell’esercito dei Merovingi – dopo varie dispute familiari – già nel 717 volse lo sguardo alle Abbazie di passo ed alla loro utilità pratica. E vedendole distrutte, ordinò ai nobili ed ai vescovi locali di provvedere immediatamente a farle ricostruire, mettendo a disposizione i fondi necessari. Rinacquero così Saint Maurice, San Gallo e Sogn Martin, tutte terminate verso il 726. Nel caso particolare di Sogn Martin in Disentis l’ordine di riedificarla giunse da Carlo Martello al vescovo di Coira, proprio nel 717. L’anno precedente Papa Gregorio II si era avvicinato ai Frisoni, storico nemico dei Franchi, accordandosi con il duca di Baviera, Teodo, e pianificandone l’evangelizzazione, la giurisdizione ecclesiastica e la nomina dei vescovi. Un’intrusione a nord che evidentemente non poteva che preoccupare Carlo. E il “Martello” non era tipo da lasciarsi sorprendere. Creò quindi un’Abbazia a guardia del passo, ordinando al vescovo di Coira, Tello, di donare alla stessa anche buona parte delle terre della Surselva, la regione fra Coira e Disentis, sino ad allora di sua proprietà.
Carlo si rese allo stesso tempo conto che il Moncenisio era del tutto scoperto ed ordinò la costruzione dell’Abbazia della Novalesa, secondo i documenti ufficiali “affinché i monaci preghino per la prosperità del Regno Franco”. Meno ufficialmente essi facevano ben più che soltanto pregare …..
I tre passi che permettevano la discesa in Italia erano ora protetti, anche se Carlo Martello non li utilizzò mai. Per quanto il papa lo invitasse a scendere in campo contro i Longobardi, che avevano occupato le terre del Papato compromettendo il suo regno terreno, Carlo aveva troppi problemi in patria. Lungimirante, il Martello si assicurò comunque anche la fedeltà di quei territori, mettendo a capo delle proprietà agricole e delle Abbazie i nobili suoi fedeli, nonostante lo scontento della chiesa di allora. Morì nel 741, lasciando il regno ed il titolo di “maggiordomo di palazzo” ai due figli, Carlomanno, che ebbe le terre e le abbazie germaniche e Pipino il Breve che ebbe le terre e le abbazie francesi. A quel tempo, già da alcuni decenni, tutte le Abbazie Colombaniane avevano abbandonato la severa regola di San Colombano per abbracciare la più permissiva e meglio organizzata “regola di San Benedetto”. E benedettine – perlomeno le sopravvissute – sono ancor oggi.
Abituati a vedere un’Abbazia come luogo di culto e meditazione pare strano a noi moderni questo tipo di strategia. Ma occorre dire che, ai tempi dei Carolingi, gli Abati si erano trasformati in fretta, anche grazie alle scelte di Carlo, da pacifici uomini di fede a nobili armati. Essi erano tenuti a seguire il re nelle guerre se così veniva loro ordinato, ma soprattutto, erano tenuti a fornire soldati, vettovaglie, alloggio. E questi uomini, vettovaglie, alloggi, dovevano trovarsi lungo le strade che gli eserciti percorrevano. Le strade, lo abbiamo detto, erano poche. Inoltre, non erano lastricate né in grado di far passare carri, a meno che si trattasse di antiche strade romane. Per il resto non erano che sentieri in terra battuta, stretti, sui quali riusciva a passare al massimo un esercito di 5000 uomini in fila indiana, con pochi, piccoli carri da trasporto. Per disporre di forze superiori occorreva spostarsi utilizzando strade diverse, raccogliere uomini lungo la via per ampliare l’esercito e sostituire le perdite, e disporre di rifornimenti periodici, perché i pochi carri al seguito non potevano portare il necessario per l’intero percorso. Per conseguenza i villaggi lungo la strada, più che altro cappelle – nome con cui si indicava allora un piccolo villaggio sorto attorno ad una chiesetta – oppure mansi – piccoli possedimenti feudali – e grance – insediamenti agricoli di proprietà di un’Abbazia – dovevano fornire quanto occorreva. Dovevano quindi appartenere “con tutti gli uomini, le donne, gli animali…” come riportano antichi scritti, ad un alleato del re: un conte, un duca o un abate. La presenza di Abbazie e Monasteri e delle loro cappelle e grance lungo le vie di passaggio era dunque fondamentale. Esse informavano circa il percorso, ospitavano i mercanti e i mercati, permettevano i rifornimenti di cibo, curavano i malati e tenevano sotto controllo i briganti, decidendo di fatto chi potesse o meno, transitare dal passo o dalla via che esse presidiavano, fornendo al “viandanti amici” opportuni “lasciapassare” che i briganti insediati sul territorio dell’Abbazia sapevano di dover rispettare. Per questo, quanto più le abbazie si rivelavano strategicamente importanti, tanto più venivano donate loro dai sovrani sempre nuove terre, che formavano una “catena di proprietà” dislocate anche a centinaia di chilometri di distanza dall’Abbazia stessa lungo le vie di passaggio
Un inciso: abbiamo parlato di Colombano e ricordato la sua ultima Abbazia, Bobbio. Molti sono i racconti che narrano come la regina Teodolinda e il re Agigulfo volessero fargli onore donandogli la terra su cui costruirla. Ma pochi sono quelli che riconoscono le vere ragioni della donazione: l’Abbazia di Bobbio venne costruita per ordine e con i finanziamenti di Teodolinda in una posizione particolarmente utile dal punto di vista viario, in una zona di intersezione di percorsi di notevole rilievo per l’Italia centro-settentrionale e collegata a Pavia, la capitale, ed ai monasteri colombaniani delle Alpi dall’unico sistema viario esistente. Si trovava poi presso il passo del Pelice, che separava il territorio longobardo da quello bizantino, la Liguria, a baluardo di un’eventuale invasione. Dopo la conquista della Liguria da parte dei Longobardi (641 d.C.) l’Abbazia di Bobbio fondò anche su quel territorio grance e priorati dislocati in modo da ottenere per sé il collegamento al sistema abbaziale del sud della Francia.
Al di là di tanti “cammini” recentemente inventati, quale era dunque davvero una importante via di transito alto medievale? “Cherchez l’Abbaye”. Se lo era, la presenza un’Abbazia altomedievale ve lo confermerà. La via Francisca del Passo del Lucomagno”, la “via verso il paese dei Germani” del Novarese, che potete scoprire nelle pagine del libro “Tracce di Meraviglie”, lo era senza alcun dubbio.